“Il dono più prezioso che possiamo offrire a qualcuno è la nostra attenzione.
Quando la consapevolezza abbraccia coloro che amiamo, sbocceranno come fiori”
(Thich Nhat Hanh)
Di cosa hanno bisogno i nostri figli? Spesso, dietro alla presenza di comportamenti che tendiamo a definire “problematici”, c’è la semplice richiesta di attenzioni. I bambini hanno bisogno di sentire che noi genitori gli siamo accanto, perché non sono ancora autonomi dal punto di vista pratico, affettivo e relazionale, le emozioni li mandano in confusione e la spinta a crescere comporta anche la paura di crescere.
La richiesta di attenzioni e rassicurazioni può essere considerata fisiologica, perché connaturata alla dipendenza infantile e alle continue sfide evolutive, ma le cose si complicano quando ci domandiamo come rispondiamo noi genitori a questa richiesta. Se ci soffermiamo ad osservare il mondo dei così detti adulti, spesso vediamo una landa desolata, occupata in gran parte dalla fabbrica del lavoro, che esige il nostro bene più prezioso: il tempo. Parlando con i genitori che chiedono l’aiuto degli psicologi, spesso si ha proprio questa impressione: il lavoro occupa così tanto tempo, che ne rimane poco per la vita familiare. Le giornate sono caratterizzate dalla fretta con cui portiamo i bambini a fare le loro attività, che si svolgono con modalità simili al nostro lavoro. La fretta genera lo stress, che ci rende più vulnerabili dal punto di vista fisico e psicologico, riducendo la nostra vitalità.
Sarebbe bello un capovolgimento di prospettiva, di cui una certa psicologia potrebbe farsi portavoce: quelli che chiamiamo “sintomi” dei bambini sono un tentativo con cui i nostri figli provano a chiamarci, come fanno da secoli i maestri di ogni tradizione spirituale. I bambini-maestri vogliono svegliarci dall’incantesimo collettivo, affinchè ci riprendiamo il nostro tempo. Sarebbe bello vederci rivoluzionare la nostra vita, ma non sempre raccogliamo la sfida al cambiamento, non sempre è possibile a causa di una serie infinita di vincoli connaturati al sistema economico-sociale.
Se questo è il nostro caso, non disperiamo e cerchiamo altre vie per il cambiamento! Possiamo capovolgere la questione, in modo da puntare non tanto sulla quantità di tempo che passiamo con i figli, che purtroppo sarà necessariamente limitata, quanto sulla qualità. E’ qui che entra in gioco la mindfulness. La mindfulness è un vero e proprio approccio alla vita, diffuso negli anni ’70 da Jon Kabat-Zinn, biologo americano che porta la sua esperienza della meditazione buddhista e dello yoga in campo medico, stilando un protocollo da usare negli ospedali e nelle cliniche per aiutare i pazienti malati e affetti da dolore cronico. Il protocollo, chiamato MBSR (Mindfulness-Based Stress Reduction), è stato successivamente esteso a tanti ambiti diversi ed è tuttora molto usato per la regolazione emotiva e la gestione dello stress.
Si tratta di semplici pratiche da svolgere da soli o in gruppo, che hanno lo scopo di allenare uno stato di presenza consapevole e non giudicante di tutto quello che accade nel momento presente. Facile a dirsi, ma non così facile a farsi, se pensiamo che per lo più viviamo in un altrove, fatto di contenuti mentali (pensieri, preoccupazioni, ricordi, propositi) e di notifiche del cellulare, tutti stimoli che ci allontanano dal qui ed ora e ci isolano dal mondo circostante.
Basta rifletterci e ci rendiamo conto che questa distrazione di fondo è presente anche quando ci relazioniamo ai nostri bambini, a cui dedichiamo un’attenzione parziale. Così, li ascoltiamo solo superficialmente, mentre in realtà pensiamo ad altro. Il borbottio della mente costituisce un rumore di fondo, costituito non solo dai pensieri, ma anche da aspettative, desideri e programmi riferiti al bambino stesso. Questi contenuti mentali vanno osservati attentamente, in quanto influenzano, spesso in modo inconscio, il legame affettivo con il bambino, costituendo una specie di velo con cui l’immagine ideale del bambino copre il bambino reale. La nostra mente ci gioca un brutto scherzo, perché tende a proiettarsi in avanti, così che sembra quasi inevitabile questo meccanismo per cui ci creiamo delle aspettative su ogni cosa, anche sui nostri bambini, che vorremmo forti, felici, bravi, realizzati e così via.
Le aspettative sono normali, ma diventano una gabbia per i bambini quando sono così strette da limitare la loro libertà e quando attivano in noi una modalità giudicante di rapportarci ai figli. Così, quando le nostre aspettative rispetto al comportamento ideale dei bambini sono disattese, possiamo ritrovarci a limitarli e criticarli, andando a influenzare la loro autonomia e autostima. I bambini che sono criticati spesso faticano a costruire un’immagine di sé come dotati di valore personale, senso di efficacia, potere di azione nel mondo.
A questo pasticcio si può porre rimedio con la mindfulness, che ridimensiona aspettative, ansie e pensieri della mente per lasciare spazio alla realtà del momento presente. Meditando possiamo coltivare uno stato di vitalità e di presenza maggiore. Meditare vuol dire osservare se stessi e il mondo circostante con un atteggiamento non giudicante di apertura curiosa verso la vita, di accettazione di noi stessi e dell’altro per quello che siamo.
Grazie alla nostra piena presenza, i bambini si sentono visti, ascoltati e accettati. Grazie al nostro esempio diretto, imparano a prendere atto delle emozioni proprie e altrui. La capacità personale di regolazione emotiva va di pari passo con empatia e compassione verso l’altro, che sostengono una vita affettiva ricca e gratificante.
Ma che vuol dire praticare la mindfulness, cosa è la meditazione? Difficile spiegarlo a parole, forse è più facile fare una piccola prova insieme, ora! Semplicemente, mettiamo una sveglia al telefono tra 3 o 5 minuti e iniziamo la nostra breve esperienza mettendoci seduti comodi e chiudendo gli occhi. Tutto quello che facciamo è portare la nostra attenzione dove essa naturalmente va, verso gli stimoli provenienti dall’ambiente esterno (odori, suoni, colori) e dall’ambiente interno (pensieri, immagini, sensazioni fisiche, emozioni). L’attenzione va alla mente, sempre piena di pensieri, ma ricordiamoci che siamo incarnati! Abbiamo un corpo che occupa uno spazio fisico, un corpo di cui possiamo percepire il peso e il movimento interiore dettato dal respiro. Sentiamo l’aria che entra e esce dal naso, senza modificare il ritmo del respiro, che naturalmente cambia con noi. Ogni tanto arriva un pensiero e noi lo guardiamo arrivare e andare via, ogni volta torniamo al respiro e alle sensazioni fisiche, fino a che non suona la sveglia.
Se ci è piaciuta questa esperienza, ripetiamola per prenderci una pausa dal lavoro, la sera prima di addormentarci o semplicemente quando ce ne ricordiamo. La meditazione non è nulla di speciale, ma può essere il punto di inizio di una profonda rivoluzione umana, che porta benefici al nostro animo e a tutte le persone che amiamo.
Per saperne di più sulla mindfulness:
Jon Kabat-Zinn, Vivere momento per momento, Ed. Corbaccio, 2016.
Per saperne di più sulla genitorialità consapevole:
Tiziana Franceschini, Alla ricerca dei dieci comandamenti del genitore, Ed. Ultra Life, 2021.
Dott.ssa Tiziana Franceschini, Psicologa dell’Età Evolutiva, Psicoterapeuta Clinica